Stalking: molestie e minacce sui social network
DIRITTO E TUTELA 3.0 - Molestie e minacce tramite i social network sono stalking
L'avvocato Fulvia Fois illustra il caso in cui le molestie via social possono configurarsi come atto persecutorio rischiando così, in caso di condanna, la pena da 6 mesi a 4 anni
Care lettrici e cari lettori,
questa settimana voglio portare la vostra attenzione su una recentissima sentenza penale della Corte di Cassazione (la n. 45141 del 6 novembre 2019), la quale ha finalmente stabilito che anche le ripetute molestie effettuate tramite i social network possono configurare il reato di atti persecutori di cui all’art. 612 bis del Codice Penale (cd. stalking).
Questo articolo prevede che “salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.
Per aversi stalking, lo ricordiamo, sono necessari:
1) la reiterazione, da parte di un soggetto, di condotte persecutorie, minacciose e moleste nei confronti di un altro soggetto;
2) l’insorgere nella vittima, di un perdurante e grave stato di ansia o di paura per l’incolumità propria o di persone vicine o l’alterazione delle proprie condizioni di vita;
3) l’idoneità delle condotte reiterate a cagionare nella vittima questi stati d’animo o questi mutamenti di vita.
La vicenda di cui la Suprema Corte è stata chiamata ad occuparsi riguardava il caso di un uomo accusato di atti persecutori in quanto aveva ripetutamente molestato una donna e i suoi familiari con offese e minacce, tra l’altro, mediante la pubblicazione di messaggi e post sui social network e l’utilizzo ripetuto di espressioni fortemente offensive e minacciose.
Queste condotte avevano indotto nella vittima un perdurante stato di ansia e di tensione, che l’avevano destabilizzata dal punto di vista psicologico e che avevano inciso fortemente sulle sue abitudini di vita e sulla sua serenità, anche per la notevole durata dei comportamenti vessatori.
Va precisato, al riguardo, che l’accertamento dello stato di ansia o timore non presuppone necessariamente l’espletamento di una perizia medico legale. La norma, infatti, non richiede che si sia in presenza di una vera e propria patologia ma solo che il giudice rilevi, anche attraverso le massime d’esperienza, che l’equilibrio psichico della vittima sia stato leso dalle condotte persecutorie.
A provare il danno potranno essere, ad esempio, le stesse dichiarazioni della vittima così come i comportamenti tenuti a seguito delle varie condotte dello stalker.
Nella vicenda di cui si è occupata la Suprema Corte era emerso che il comportamento persecutorio era stato posto in essere per ben sette anni, durante i quali la donna non aveva potuto svolgere una vita normale, anche sotto il profilo delle relazioni personali, sempre temendo che l’uomo potesse materializzarsi al suo fianco.
Inoltre aveva dovuto in più occasioni fornire giustificazioni a terze persone, anche nell’ambito lavorativo, delle continue diffamazioni nei confronti della sua persona e della sua famiglia perpetrate dall’uomo attraverso i social network. Si era infine vista costretta a chiedere spesso ad amici di essere accompagnata a casa e ad inserire un blocco delle chiamate in entrata al suo telefono cellulare per limitare l’invadenza dell’uomo.
Possiamo dire che questa sentenza ha finalmente aperto la strada alla configurabilità del reato di atti persecutori anche nelle ipotesi in cui le condotte si sostanzino in offese e molestie attraverso i social network, se accompagnate dagli altri elementi richiesti dalla fattispecie incriminatrice, laddove fino a questa importante pronuncia le singole condotte diffamatorie venivano generalmente ricondotte nell’ambito della diffamazione a mezzo stampa di cui all’art. 595 terzo comma del Codice Penale del Codice Penale.
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Avvocato Fulvia Fois