E’ possibile accedere alle chat WhatsApp dell’ex?
Care lettrici e cari lettori, questa settimana parliamo di un tema davvero particolare che ha di recente richiamato l’attenzione anche della Suprema Corte di Cassazione.
Il caso è quello di una coppia in cui i partner non hanno – o almeno sembra – segreti tra di loro.
I due si dicono tutto e proprio per dimostrare di non avere nulla da nascondere l’uno all’altro, si scambiano anche i codici di accesso dei rispettivi smartphone, nonché le password dei profili social e degli indirizzi di posta elettronica.
Accade, però, che ad un certo punto la relazione entra in crisi.
Sempre più convinto che il proprio partner abbia un’altra relazione, uno dei due decide di controllare il telefono e in particolare le chat WhatsApp dell’altro, sicuro di non commettere alcun illecito in quanto, dopotutto, è stato proprio il proprietario dello smartphone esaminato a fornirgli di sua spontanea volontà le credenziali per poter accedere liberamente al dispositivo.
Ma è davvero così?
Il fatto che una persona abbia indicato ad un’altra i codici di accesso al proprio smartphone, legittima quest’ultima ad accedere liberamente al dispositivo in ogni momento?
Vediamo cosa dicono legge e giurisprudenza al riguardo.
L’art. 615-ter del nostro Codice Penale, relativo al reato di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, prevede la reclusione fino a tre anni per chi si introduce abusivamente in un sistema informatico o telematico – quali, ad esempio, un computer o uno smartphone – protetto da misure di sicurezza o vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita del proprietario.
Dalla lettura del richiamato articolo si comprende chiaramente come ad essere penalmente rilevante non è solo la condotta di chi accede ad un dispositivo informatico senza che gli siano stati comunicati i codici di accesso, ma anche quella di chi, pur essendo già a conoscenza della password – perché comunicatagli dal proprietario dello strumento informatico – vi acceda per scopi diversi da quelli inizialmente concordati.
Non solo.
Di un caso simile si è recentemente occupata anche la Suprema Corte, la quale ha rilevato che integra altresì il reato di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza la condotta di colui che prende cognizione del contenuto della corrispondenza telematica intercorsa tra la ex convivente e un terzo soggetto, conservata nell’archivio di posta elettronica della prima.
Questo reato può concorrere con quello di accesso abusivo ad un sistema informatico nel caso di accesso abusivo ad una casella di posta elettronica protetta da password, in relazione all’acquisizione del contenuto della corrispondenza custodita nell’archivio (Cassazione Penale, Sez. V, n. 3025/2025).
Secondo quanto rilevato dalla Cassazione, dunque, oltre all’accesso abusivo ad un sistema informatico, sarà ravvisabile anche l’art. 616 c.p. relativo al reato di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza.
COSA NE PENSO IO?
Come si può ben vedere, la curiosità e la smania di cercare prove – non sempre esistenti – può risultare davvero insidiosa e pericolosa per cui prima di agire è opportuno riflettere bene e valutare se vale la pena di rischiare così tanto. Io credo proprio di no.
Questa è una rubrica di informazione e divulgazione giuridica che ha il solo scopo di voler contribuire a livello sociale alla conoscenza dei propri diritti in quanto è mia convinzione che solo così è possibile tutelarli efficacemente dal punto di vista legale.
Se avete delle domande o volete propormi un argomento di cui parlare, potete farlo scrivendomi all’indirizzo e-mail dirittoetutela3.0@gmail.com o compilando il form che trovate sul sito www.studiolegalefois.com.
Avv. Fulvia Fois