Impresa familiare: finalmente tutelato anche il convivente di fatto
Care lettrici e cari lettori, questa settimana voglio parlarvi di un argomento particolare che interseca due tematiche importanti che interessano davvero tantissime famiglie italiane ovvero la convivenza di fatto e l’impresa familiare.
Come sappiamo, la convivenza consiste nello stato di coabitazione tra due persone che non sono legate tra loro da vincoli di parentela, affinità o adozione né – fra loro o con terzi – da matrimonio o unione civile.
La registrazione della convivenza consiste in una dichiarazione da sottoscrivere e presentare all’anagrafe del Comune di residenza in cui i soggetti interessati affermano di costituire una coppia di fatto e di coabitare nella stessa casa.
A seguito della registrazione i conviventi otterranno lo status di conviventi di fatto – per tale intendendosi due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale – cui l’ordinamento riconosce determinati diritti come, ad esempio, il diritto di visita, di assistenza, e di accesso alle informazioni personali del convivente ricoverato, o, ancora, il diritto di nominare l’altro come proprio rappresentante in caso di malattia che comporti incapacità di intendere e di volere, ovvero affinché assuma le decisioni in materia di salute, donazione degli organi, celebrazioni funerarie ecc…
Parrebbe dunque che, grazie alla registrazione della convivenza, ai conviventi vengano riconosciuti gli stessi diritti che spettano ai coniugi, ma è davvero così?
In realtà no in quanto, nonostante la registrazione, vi sono comunque degli ambiti in cui il convivente non ha riconoscimento alcuno come accadeva, fino ad oggi, per l’impresa familiare.
Quando parliamo di impresa familiare facciamo riferimento ad un’attività commerciale all’interno della quale – come è possibile intuire dal nome – l’attività lavorativa viene svolta in modo continuativo e prevalente dal coniuge e dai familiari, con particolare riferimento ai parenti fino al terzo grado e agli affini entro il secondo grado.
In virtù dell’attività svolta, a questi soggetti vengono riconosciuti determinati diritti patrimoniali come il diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia, il diritto alla partecipazione agli utili dell’impresa e ai beni acquistati con essi, il diritto alla partecipazione agli incrementi aziendali nonché il diritto di prelazione in caso di divisione ereditaria o di alienazione dell’azienda.
Nulla di strano, verrebbe da dire, se non fosse che fino ad oggi questi diritti non venivano completamente riconosciuti anche al convivente di fatto che prestava attività lavorativa all’interno dell’impresa familiare.
Il Codice Civile, infatti, riconosceva al convivente impiegato nell’impresa familiare diritti molto più ristretti di quelli normalmente riconosciuti ai familiari.
Ecco allora che sul punto è intervenuta con una recentissima pronuncia la Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 230 bis del Codice Civile nella parte in cui non qualifica come familiare – oltre al coniuge, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo – anche il convivente di fatto e come impresa familiare quella in cui quest’ultimo collabora.
Consequenzialmente, la Corte ha dichiarato l’illegittimità anche dell’art. 230 ter del Codice Civile che, nel regolamentare le prestazioni di lavoro rese nell’ambito della famiglia di fatto, prevede per il convivente-lavoratore una tutela più ristretta rispetto a quella prevista per i familiari.
La Corte, dunque, riconosce piena dignità alla famiglia composta da conviventi di fatto, ai quali deve essere garantita, in tema di impresa familiare, la stessa tutela riconosciuta al coniuge.
COSA NE PENSO IO?
Credo che la pronuncia in esame costituisca un importantissimo traguardo ma che ci sia ancora molto lavoro da fare.
Non trovo corretto che, a otto anni dall’entrata in vigore della Legge Cirinnà, le coppie conviventi continuino a non vedersi riconosciuti alcuni diritti come i diritti successori o il diritto di percepire una quota della pensione di reversibilità.
Negare queste possibilità ai conviventi significa affermare che il nostro Paese non ha ancora accettato la famiglia nelle sue declinazioni più recenti, purtroppo ancora connotate da un senso di disvalore non più ammissibile.
Questa è una rubrica di informazione e divulgazione giuridica che ha il solo scopo di voler contribuire a livello sociale alla conoscenza dei propri diritti in quanto è mia convinzione che solo così è possibile tutelarli efficacemente dal punto di vista legale.
Se avete delle domande o volete propormi un argomento di cui parlare, potete farlo scrivendomi all’indirizzo e-mail dirittoetutela3.0@gmail.com o compilando il form che trovate sul sito www.studiolegalefois.com.??? ???
Avv. Fulvia Fois