Istigazione al suicidio via social: è davvero solo un caso di cronaca?
Istigazione al suicidio via social: è davvero solo un caso di cronaca?
Dalle offese, alla gogna, fino al gesto estremo. L'avvocato del Foro di Rovigo Fulvia Fois sulla istigazione al suicidio via social network
Care lettrici e cari lettori, questa settimana voglio parlarvi di un tema davvero delicato e, purtroppo, molto attuale soprattutto alla luce dei più recenti fatti di cronaca.
Nell’ultima settimana, infatti, i notiziari di tutte le reti hanno riportato la notizia del suicidio della ristoratrice che aveva “risposto per le rime” alla recensione di un cliente che si lamentava per aver cenato vicino ad altri clienti omosessuali e ad un cliente diversamente abile, ricevendo il plauso dell’opinione pubblica.
Il caso è diventato di dominio pubblico in quanto la decisione della ristoratrice di farla finita sarebbe stata presa a causa della gogna mediatica in cui la stessa sarebbe finita dopo essere stata accusata di aver falsificato la recensione incriminata e di aver quindi creato ad hoc lo scenario della sua risposta, onde ottenere consensi.
Proprio per questo, l’attività di indagine derivante dalla morte della donna si sta indirizzando al fine di individuare eventuali profili di responsabilità per il reato di istigazione al suicidio.
Il riferimento è all’art. 580 del Codice Penale che punisce chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione con la reclusione da 5 a 12 anni.
Non solo. Se il suicidio non si realizza, ma a seguito del tentativo di togliersi la vita la persona offesa riporta lesioni gravi o gravissime, l’istigatore verrà comunque punito con la reclusione da 1 a 5 anni.
Quello che rileva sotto il profilo penale, dunque, è il contributo psicologico o materiale con cui un soggetto instaura o rafforza l’intento suicidario altrui, che si può concretizzare non solo nell’invito esplicito a togliersi la vita ma anche, ad esempio, nell’esasperare sentimenti già presenti nell’animo del soggetto interessato come la convinzione di non valere nulla e di non avere alcuno scopo nella vita, ovvero nel fornire materialmente aiuto nell’esecuzione del proprio intento.
Nel caso in esame, quindi, l’attenzione è puntata su possibili messaggi che la donna potrebbe aver ricevuto da conoscenti o utenti del web e che potrebbero averla condotta a compiere questo terribile gesto.
Questo, tuttavia, non è sufficiente. Affinché un soggetto possa essere ritenuto responsabile del predetto reato è necessario provare anche dimostrare che lo stesso si è prefigurato l’evento come dipendente dalla propria condotta, non potendosi invece parlare di istigazione al suicidio quando l’attività sia stata rivolta semplicemente a maltrattare e quindi a provocare sofferenze morali o materiali alla vittima e la morte della stessa si sia realizzata quale ulteriore conseguenza non voluta.
COSA NE PENSO IO?
Andando oltre il caso di cronaca, credo sia opportuno prendere coscienza del fatto che l’istigazione al suicidio – ipotesi di reato che sembra lontanissima da noi e dalla nostra quotidianità – sia in realtà fortemente presente nella nostra società e si nasconda subdolamente dietro gli schermi dei nostri pc o smartphone, ma anche dietro atti di bullismo o mobbing, rivelandosi spesso fatale soprattutto nei confronti dei giovanissimi che idolatrano influencer e personaggi del web al punto tale da sacrificare la propria stessa vita su loro comando.
La minaccia c’è ed è reale, ragion per cui ritengo essenziale che ognuno di noi presti particolare attenzione alle persone che gli stanno intorno, individuando eventuali campanelli d’allarme che possano far presagire un gesto estremo e ponendo in essere concrete misure di tutela come prendere contatti con un professionista o con uno dei numeri di emergenza resi operativi da diverse onlus.
Non meno importante, infine, è la denuncia delle condotte sospette alle Autorità.
Questa è una rubrica di informazione e divulgazione giuridica che ha il solo scopo di voler contribuire a livello sociale alla conoscenza dei propri diritti in quanto è mia convinzione che solo così è possibile tutelarli efficacemente dal punto di vista legale.
Se avete delle domande o volete propormi un argomento di cui parlare, potete farlo scrivendomi all’indirizzo e-mail dirittoetutela3.0@gmail.com o compilando il form che trovate sul sito www.studiolegalefois.com.
Avv. Fulvia Fois