Percepisce l’assegno di mantenimento e lavora in nero. Cosa fare?
Care lettrici e cari lettori, questa settimana voglio parlare con voi di un argomento che suscita molto interesse e che fa sempre tanto discutere, ovvero la determinazione dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge.
Il contributo al mantenimento in favore del coniuge a seguito di separazione personale ha lo scopo di riconoscere al coniuge privo di adeguati redditi propri, un contributo economico volto a garantirgli di mantenere un tenore di vita pari a quello goduto in costanza di matrimonio.
Proprio in riferimento alla determinazione dell’ammontare dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge, la giurisprudenza ha riconosciuto che: “La separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché i “redditi adeguati” cui va rapportato l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio” (Cass. 4327/2022).
L’art. 156 del Codice Civile dice infatti che il Giudice, pronunciando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione e che non disponga di adeguati redditi propri, il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, tenuto conto delle circostanze e dei redditi del coniuge obbligato.
Ciò premesso, viene spontaneo chiedersi come i redditi del coniuge obbligato incidano sull’ammontare dell’assegno di mantenimento e ciò in particolare nell’ipotesi in cui lo stesso, a fronte di una dichiarazione reddituale esigua, dimostri un elevato tenore di vita reso possibile dallo svolgimento di attività lavorativa retribuita “in nero”.
Sul punto, la Corte di Cassazione è intervenuta con una recentissima pronuncia statuendo che nel valutare le disponibilità patrimoniali del coniuge obbligato al fine della determinazione dell’ammontare dell’assegno di mantenimento dovuto, il Giudice “non può limitarsi a considerare soltanto il reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, quali la disponibilità di un consistente patrimonio, anche mobiliare, e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso […] a prescindere, pertanto, dalla provenienza delle consistenze reddituali o patrimoniali da questi ultimi godute, assumendo rilievo anche i redditi occultati al fisco, in relazione ai quali l’ordinamento prevede, anzi, strumenti processuali, anche ufficiosi, che ne consentano l’emersione ai fini della decisione, quali le indagini di polizia tributaria e l’espletamento di una consulenza tecnica” (Cass. Civ., n. 32349/2024).